È da ritenere per altro che esisteva anche anteriormente con una relativa antichità. È nominata nella Cronaca del monastero di S. Vincenzo al Volturno, e propriamente nel testamento di un tale Imend, in data dell’800: ” Ego enim Imend Tendacus filius” Teupi, in primis omnium integram portionem meam de casale “in Telesias et portionem meam in Limata”. Nella divisione Normanna dipendeva dalla Contea di Alife, e n’era posseditrice la casa di Bornia, con dipendenza da Roberto e indi da Rainulfo Conte di Alife. Fu presa da Re Ruggiero nelle guerre contro il cognato. Ne parla l’Abbate Telesino nel racconto delle gesta di quel Re, con le seguenti parole, (al cap. 61, pag.632 della edizione del Muratori negli Scriptores rerum italicarum): ” Quo capto (Ponte) die ipsa continuo ad castrum, quod nominarur ” Limata, aggrediendum properat, quod cito comprehensum, simul ” que depopolatum, novissime vero ignis crematione omnino deletur; ” erat enim et illud alterius praedicti Comitis (Raynulphi) Optimati, ” cuius vocabulum Rodolfhus de Bernia dicebatur”. Dalle quali parole sappiamo che il possessore era appunto il Rodolfo di Bernia. La terra feudale non venne interamente abbandonata, non ostante il saccheggio e l’incendio totale di cui parla l’Abate Telesino nel far motto della presa per assalto fattane da Re Ruggiero; e venne inclusa nella Contea di Caserta al riaffermarsi della potenza Normanna. Infatti nel catalogo dei baroni normanni, sotto l’epigrafe Comitatus Casertae, trovansi, al N.978, i possedimenti di Guglielmo di Sanframondi, e tra essi il “tenet in demanio Limatam quae est feudum duorum militum”. E nel cartario di S. Maria in Gruttis di Vitulano trovasi, in data del 1173, ottobre, indizione VII, anno 7° del regno di Guglielmo, un diploma col quale Guglielmo di Sanframondo, figlio del quondam Guglielmo, signore di Limata, Guardia, ecc., offre a Roberto, priore di Montedrago, una terra in Lunata, luogo detto isola Aimari. Lo scrisse Giovanni giudice e notaio, lo sottoscrisse Giacomo giudice, e si segnarono con croce Guglielmo di Sanframondo, Balduino Malamanno milite e Pietro Arciprete di Limata. Con la stessa data havvi pure altro diploma, con cui lo stesso Guglielmo di Sanframondo concede al monastero la facoltà di pascolare, attingere acqua e legnare in tutto il tenimento di Limata e Guardia.
Che vi era un Guglielmo il giovine di Sanframondo risulta dallo stesso catalogo dei baroni Normanni al N.883; dove sta dettò che Guglielmo di Sanframondo il giovine disse che aveva in Aversa un feudo di tre militi, e ne offriva sei; aveva poi per suffeudatari Valentino, Roberto di Avenàbulo, Unfrido di Ribursa, Roberto di Lacerna, Giozzolino di Rocca, Riccardo di Rocca, Guglielmo Lombardi e Niel. Nei pochi rammenti rimasti del primo catasto fatto eseguire nel 1268 da Carlo d’Angiò trovasi segnata Limata con 17 famiglie soltanto, e la tassa di once 4 e tarì 7 ½. E un magister Stephanus de Raone de Limata trovasi segnato nel Necrologio di S. Spirito. Nel Cedolario del 1320 è riportata nel giustizierato di Terra di Lavoro per once 9 e grana 2, fra Cerreto e Guardia Sanframondi. Non sappiamo spiegare poi come in una certa epoca dei primi tempi Angioini non appartenne ai Sanframondo; tanto vero che ai fol. 184 a 187 del fascicolo 52 dei Registri Angioini vi è il notamente delle tasse che pagavansi in Limata, e porta questa testuale indicazione: ” Compotum iunum collectarum a terra Limata quae erat quondam domini Tho masii de Presentiano “. E non ci è stato possibile rinvenire il come ed il perché di questa concessione in favore di un Tommaso di Presenzano, avvenuta forse durante gli ultimi anni della dominazione Sveva. Certo è che la terra di “Limata, andò spopolandosi, e la chiesa di S. Lorenzo, che stava sul territorio, si arricchiva di circostanti abituri. Le località contermini e Limata furon date nuovamente a Niccolò di Sanframondo; e nel 1448 da Alfonso I di Aragona a Giovanni di Sanframondo, che venne creato Conte di Cerreto. La famiglia finì in quel secolo; e l’ultimo dei Sanframondo, ribelle a Ferdinando I, venne ucciso. Nel 1486 ne fu fatta concessione a Diomede Carafa, duca di Maddaloni; e casa Carafa l’ha posseduta fino all’abolizione della feudalità, tranne il possesso precario col patto di ricompra per alcun tempo nel secolo XVI presso Giulia Doria e Antonio Caracciolo. Pochi abitanti v’eran rimasti, ma il casale di S. Lorenzo aveva vinto il paese di origine. Nel 1271 ancora vi rimaneva qualche abitante; per la qual ragione ne parlano, accennandone appena, l’Alberti e il Biondo nelle loro descrizioni sommarie ed erronee dell’Italia e del Regno di Napoli, contendandosi di dire che a destra del Sabato, su d’una eminanza, sorgeva Limata nobile castello. Quegli scrittori chiamano Sabato e non Calore il fiume dopo il confluente presso Benevento. Certo è che nel 1593 non più esisteva il paese Limata. Su d’una collina vedonsi ancora i ruderi del castello presso la casina fabbricata dai fratelli Rossi, che da casa Carafa acquistarono la campagna ove un dì fu Limata, e vi edificarono la chiesetta di S. Maria. Intanto S. Lorenzo maggiore già faceva 81 famiglie nel 1532, 93 nel 1545, 189 nel 1561, 206 nel 1595, diminuite a 159 nel 1669. Danni enormi e la morte di molti individui ebbero luogo pel tremuoto del 1688, che distrusse l’antica Cerreto, ed ebbe suo centro in queste contrade.
Il territorio è esteso di circa 4 mila moggi di terreno, che danno anche molto olio, vino e frutta. Primeggiano ivi le famiglie Brizio, del Buono, Retez, Rossi, Iannotti ed altre; e vi possedono parecchi di Guardia e dei comuni contermini. S. Lorenzo Maggiore fu patria del canonico D.Giovanni Rossi, il quale fu scrittore della Real biblioteca Borbonica, e pubblicò, nel 1827, un esatto catalogo storico dei vescovi di Telese. LIMATA In Contrada Piana vi è la località “Limata” dove vi sono i resti dell’omonimo paese le cui origini sono riconducibili agli inizi del 800 d.c. Limata fu centro strategico in tutte le dominazioni che si susseguirono: dalla Longobarda alla Normanna, dall’Angioina alla Sveva. Il castello del feudatario dominava la sottostante valle del Calore e militarmente parlando, aveva ai suoi tempi la funzione di controllare ed intercettare tutte le comunicazioni che provenivano dalla conca di Benevento, dal Molise, da Maddaloni, dalla conca di Montesarchio e dall’Alifano. Attualmente dell’antico castello resta ben poca cosa. Esso fu costruito sopra un blocco di arenaria: un vero torrione circoscritto ad est, nord ed ovest da un profondo vallone di erosione sul quale cadono ripidamente le Pendici di Toppo Limata. Al centro del pianoro sorge una casa colonica costruita sui ruderi del castello. A destra di chi guarda il portono d’ingresso è murata una pietra sulla quale è scolpita una figura muliebre con pettinatura a taglio corto, indossante corsetto, cintura e gonna pieghettata: si tratta di una scultura tombale del periodo longobardo. A sinistra del portone invece, sono murati alcuni frammenti di lapide romana sui quali s’individuano delle iscrizioni latine. Sotto i predetti frammenti è murata una pietra tombale di calcare bianco con figurazione a bassorilievo di un uomo e una donna a mezzo busto. Una scultura simile si trova murata all’angolo di una casa nei pressi della fontana della Portella, alla base del Castello di Guardia Sanframondi. Tali pietre tombali furono fatte murare, a scopo decorativo, dai Sanframondo in epoca non precisata, in ognuno dei loro tre castelli. Il portone d’ingresso dà accesso ad un piccolo e luminoso cortile circondato da modeste costruzioni di epoca abbastanza recente. Però una di queste costruzioni, un camerone a volta con scala di accesso al piano superiore, è indubbiamente l’unico avanzo del vecchio Castello. Il pavimento di esso presenta due aperture che danno accesso: una ad una vasta cisterna, l’altra ad una fossa la cui funzione doveva essere quella di immagazzinare granaglie. A destra della scala una colonna dell’epoca normanna, con capitello ben conservato, sostiene l’archivolto.
Pagina aggiornata il 26/06/2024